Il Cattivo Tenente


Regia: Abel Ferrara


Grandissimo filmone piuttosto snobbato dalla massa, ma che colpisce in maniera diretta, senza fronzoli, lasciando quella sensazione di pessimismo e fastidio che vi accompagnerà per diverso tempo anche dopo l’immediata visione.

In pratica questo Bad Lieutenant si può definire come una sorta di parabola che, attraverso un percorso di totale autodistruzione (sull’origine della quale non ci è dato sapere nulla, dal momento che si parte già da una situazione “di non ritorno”), tenta di affrontare il tema della redenzione, riuscendovi in buona parte senza cadere troppo nel grottesco, rischio che, date le tematiche affrontate e soprattutto gli sviluppi della vicenda, era quanto mai tangibile.

Un Harvey Keitel splendido protagonista (erano questi i suoi anni d’oro) si carica il film sulle spalle e lo porta a termine in maniera impeccabile. Risulta infatti perfetto per entrare nella parte di questo personaggio, che tra l’altro non viene mai chiamato per nome, un poliziotto corrotto, perverso, fatto come un cammello (penso che sul set non sia mai stato realmente sobrio), scommettitore incallito e chi ne ha più ne metta, ma soprattutto drammaticamente solo e abbandonato da tutti. 


La storia in pratica è tutta incentrata su di lui, con il pretesto dello stupro messo lì giusto per consentire il processo definito sopra; la trama non rivela infatti molto altro.

In mezzo a tutto ciò viene mostrato uno spaccato della vita neworkese, reso incredibilmente realisitico da un grande Abel Ferrara, che ci regala qui uno dei suoi lavori più interessanti, probabilmente secondo solo all’eccellente Fratelli (o The Funeral, fate voi).


Non mancano poi svariate scene forti, che risultano assolutamente necessarie, come per esempio quelle legate alla droga (che in alcuni momenti sembrano davvero reali e non escludo che lo siano per davvero) e altre divenute celebri, tipo l’episodio delle due ragazze fermate in macchina con relativo interrogatorio in stile oxfordiano (“Hai mai succhiato il c….?”) o la visione di Gesù a cui segue quel meraviglioso sfogo, che garantisce quel tocco di blasfemia che contribuisce a rendere il film ancora più indigesto.


È chiaro che qui e là si incontrano alcune esagerazioni forse non richieste, ma bisogna rendersi conto che, girando film come questi, ci si mette un secondo a farsi prendere la mano (io per esempio sarei dannatamente pericoloso se mai un giorno mi ritrovassi con una macchina da presa in mano), per cui ritengo che Ferrara sia riuscito più che dignitosamente a mantenersi in bilico, senza mai oltrepassare in maniera fastidiosa il confine del ridicolo involontario.

L’apparente lentezza che sembrerebbe venir fuori in alcuni punti si riesce a tollerare piuttosto facilmente, grazie anche ad una durata non eccessiva, che riesce a mantenere vivo l’interesse nello spettatore fino al termine.

Ed eccoci appunto al finale, che non fatico a credere che abbia generato diverse discussioni. Personalmente l’ho trovato azzeccato, con quella sorta di redenzione/purificazione che culmina nell’unico modo possibile, lasciando sia qualche dubbio sull’efficacia di un gesto che, considerando tutto ciò che il tenente ha combinato nella sua vita, probabilmente servirà a poco, ma soprattutto la consapevolezza di portarsi dietro questa storia per un bel po’ di tempo.

Film da vedere per conto mio in lingua originale (come tutti del resto, ma in questo caso a maggior ragione), causa doppiaggio non sempre efficace, diffidando da quella specie di remake (girato da Herzog tra l’altro, mica da un ragazzotto qualunque) con l’odioso Cage, che magari sarà pure discreto ma che, in quanto remake, non ha senso di esistere come ho già sottolineato più volte (e chiaramente non smetterò di ricordarlo).

Anzi se qualcuno l’ha visto o lo vede a breve, scriva pure la recensione tanto io non lo farò.

Giudizio complessivo: 8.5
Enjoy,


Luca Rait



Trailer



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